Lui & Lei
2a parte; Toraldo e Lia
di sexitraumer
16.12.2008 |
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"Hai lavorato dieci ore in meno nell’ultimo mese..."
Io mi lavai alla bacinella dell’acqua avendo cura di sciacquarmi un po’ anche sotto; poi indossate le mie vesti mi recai al castello presso l’intendenza. Avrei preso servizio alle dieci più o meno. Con la scusa di andare a vedere i nuovi cavalli presso le stalle dove mio padre aveva lavorato una vita mi decisi per una scopata di prima mattina, ristorato dal buon sonno, con una delle schiave negre del padrone. Non era come Matù che ormai si era fatta vecchia e veniva impiegata a badare alle nipotine del barone. Questa, comprata più di recente al mercato, era robusta e poco alta, complessivamente meno di me. Era di una ventina d’anni. Aveva due belle zinne che stavano dritte da sole. Il barone al mercante l’aveva pagata bene: 100 ducati pare. Le dissi fermo, ma gentile che doveva accompagnarmi nelle cucine perché dovevo verificare l’acquisto delle derrate per vedere se i conti del barone tornavano. Come tutte le schiave era tenuta in stato di analfabetismo. Era un gioco da ragazzi, che dico? Da bambini: fingere di consultare dei documenti scritti per intimidirla. La schiava era stata chiamata Lia. Si caricò un cesto pieno di cicoria sulla testa, e ci recammo verso le cucine. Giunti che fummo alle cucine lei poggiò sul banco il cesto e solerte senza badare a me andò a cercarsi un’altra incombenza, ma la fermai afferrandola per un braccio e...:“Cosa fate signore...? Cosa fate? Lia deve lavorare...”
“Lo so io qual è il tuo lavoro Lia...ultimamente ho visto i documenti...hai lavorato di meno anche questo mese...”
“Io lavora signore...io non capisco...”
Sorrisi a Lia per tranquillizzarla; avevo anche mollato la presa. Iniziai con l’intimidazione contabile.
“Capisco io ! Di conti qua capisco io...”
“Conti ? Signore?...io non so contare...che conti?”
“...ecco...”- e tirai fuori due fogli dove in realtà c’era scritto ben poco; e niente che riguardasse lei in particolare. Tanto quell’ingenua di Lia era analfabeta.,
“Ecco qui c’è scritto, anzi è annotato! È annotato...vedi?! Hai lavorato per un’ora di meno ogni tre giorni; se in un mese ci sono 30 giorni, la tua mancanza è stata coeteris paribus pari a dieci ore lavorative non svolte...e ci sarebbero pure i diritti di bannalità...”
“Dieci ore?... non svolte?... padrone?”
“Capisci Lia?!...Per il Barone la perdita gli causa una laesio enormis: se la laesio va ultra dimidium? Ma damnum emergens et lucrum cessans vanno contati comunque...”
“Padrone parlare con Lia latino, ma Lia non sape latino.”
“Numquam gaudium! Ignorantia legis non excusat...poenitentia facienda est...coeterum censeo Carthaginem esse delendam...”
Mi divertivo con il latino appreso sotto Don Grico. Lia, essendo analfabeta, ne era intimorita alquanto: proprio ciò che volevo. La parola poenitentia le era rimasta in bocca:
“Penitenza padrone?”
“Ah! Allora hai visto che vuoi far penitenza?...hai lavorato dieci ore in meno nell’ultimo mese...se il Barone lo sapesse ti farebbe battere ben bene...io ho il dovere d’informarlo...”
“No, dire a lui no;...Io dispiaciuta...signore che conta...io pronta a penitenza...signore perdonate Lia...”
“Lia, stai tranquilla! Sei già stata perdonata...io non informerò il signor Barone...ma tu...”
Presi Lia per un fianco come a far passeggiata.
“Io capire signore...dove?”
“Qui Lia, qui !”
Potevo già calarmi le braghe:
Arrivando mi ero chiusa la porta delle cucine dietro. Valutai di potermi tirare fuori il cazzo ancora semiturgido per l’erezione mattutina del risveglio. Lia dandomi le spalle si inginocchiò per terra, e si sollevò la gonna color scarlatto che il capo del personale le aveva fatto indossare al suo arrivo da noi. Era una gonna lunga e dovette rimboccarla più di una volta nell’avvolgerla all’indietro verso la sua vita, scoprendo l’interno di tessuto grigio. Gambe e cosce eran color nocciola scuro con le natiche un po’ più chiare, anche se non di molto. Dopo le natiche belle tonde e sode, intravidi l’inguine rossiccio, e la sua vulva color nocciola anch’essa pelosa col pelo corto col color della cenere...la mia cappella sfregandosi contro le natiche e l’inguine già caldo di Lia cominciava a diventare dura. Conoscevo me stesso: dovevo approfittarne subito. Tempo per leccarle la vulva come un animale non ce ne era (e ammetto che mi piaceva farlo! Specie se la donna non era delle nostre parti...)...allargò un pochino le cosce. Sapeva che per lo più mi sarei soddisfatto solo io. Il suo pertugio roseo si allargò un pochino. Si potevano scorgere le pareti d’ingresso rosee ed invitanti. Vi poggiai la mia cappella ed entrai cercando imperiosamente la fine corsa. Questo gesto risoluto fece cacciare a Lia un rantolo, subito dopo un sospiro. Nel suo intimo non credeva che fosse così grosso e duro già da subito...questa mia erezione se non l’avessi sostenuta con la penetrazione sarebbe durata poco. Chiaramente era quella mattutina; si sarebbe dovuta già estinguere urinando mezz’ora fa...fortuna che avendo dormito bene ce l’avevo ancora. Le misi dentro tutto il mio batacchio e potrei apprezzare le differenze di calore tra le porzioni interne della sua vagina che mi accoglieva. Quella sua vagina aveva preso la forma del mio batacchione. Modestamente la natura mi ha trattato con generosità crescendo. Avevo già “l’acquolina nelle palle”. Ad ogni affondo sentivo che la vagina cominciava a bagnarsi. Era calda, tiepida e poi ancora calda, sempre di più, sempre di più e forniva anche calore al mio cazzo. Avrei voluto tenere quella congiunzione un’eternità. Che momenti magici. Il sesso di questa nuova schiava mi stava restituendo parecchio piacere. Andavo sempre più veloce, avanti ed indietro dentro di lei. Minuti e minuti di possesso tenendola per i fianchi senza farla muovere. Sentivo il respiro di Lia. In realtà non saprei dire se fosse lei o io a muovere i rispettivi bacini. A Lia il mio sesso spadroneggiante dentro di lei piaceva e continuava a mugolare di piacere. Eravamo per terra. Lei si teneva orizzontale con presa sul pavimento. Vi aveva poggiato anche i gomiti. La pecorella la stavo tenendo al pascolo senza che entrambi ci curassimo del locale in quel momento vuoto tutto per noi. Non ricordo da quale prospettiva, ma riuscii a vedere le sue zinnette di nocciola chiaro che pendevano dall’umile camicetta bianca. O forse era solo la mia immaginazione. Specchi in cucina non ve ne erano. Io mi ero agganciato al suo bacino con il pisello nel suo infernetto caldissimo. Lasciai momentaneamente i fianchi e riuscii ad afferrarle i seni stringendoli dapprima come coppette, poi mi dedicai ai capezzoli che si erano induriti con la mia presa decisa. Immaginavo i suoi capezzoli col colore del cacao. Ormai quella sua fica era diventata un minestrone di liquami di goduria di cui avevo cura di sporcarmi il cazzo più e più volte. La mia sborrata era solo questione di pochi secondi. Ormai ero carico e desideravo spararle dentro il seme, il mio seme; il seme di un uomo che si era infatuato delle sue fattezze tonde. Non mi sembrava vero potevo scopare ad nutum.
“Ahhhnnnn, sì padrone...ahnnnn, ahnnnnn, ahnnnn,...fate signore, fate! Voi duro signore...a voi duro! Voi giovane...signore,...a Lia piace fottere...ahnnnnnn...prende zinne a Lia Signore!...ancora! ”
“Ce l’ho duro eh?!...ti piace Lia? Ahnnnn, ahnnnnn, ahnnnnn,...Ti piace vero?...ahhnnn, ahnnnn, ahnnnn!”
“Sìiiiiiii...ahnnnnn,uhhhhh, ahnnnn, che pisellone...signore...fare, ahnnnn, fare, ahnnnnn! Lia vuole tuo seme signore...ancora signore!...”
“Sì!....ahnnnnn...sborro...ahhhhhhhhhhhh!”
Sborrai dentro Lia che si accucciò ancora di più per prendere ogni goccia della mia linfa di vita senza perderne nemmeno uno zampillino momentaneamente caldissimo. Mezzo minuto di inseminamento, che Lia dimostrava di gradire. Quando non buttavo più mi accasciai sulla sua piccola schiena che non poteva sostenermi, quindi a malincuore uscii da dentro di lei. Avevo sentito io stesso che il mio sperma ormai si era raffreddato. Lia respirando profondo si voltò, prese il cazzo famelicamente nella sua bocca, e me lo ripulì leccando anche le mie palle. Qualunque cosa uscisse da me la voleva per sé. Mi faceva sentire valorizzato. Poi cercò il mio viso e mi baciò sulle labbra. Un lungo bacio con cui mi abbracciava contenta per l’orgasmo. Sbottonò la camicetta e, mi offrì il seno se volevo riposarmi su di lei oppure rieccitarmi di nuovo per un secondo atto intenso come lo era stato il nostro poc’anzi. Assaggiai estasiato e spompato i suoi capezzoli marroncini: dolci come me li ero immaginati; ed anche ancora caldi. Non finiva di baciarmi sulle guance e sulle orecchie. Mi leccava pure il viso a tratti come fosse una cagnetta grata al padrone. Dovevo averla amata ben bene. Eravamo spompati tutti e due, e con la scintilla giusta forse avremmo pure ricominciato. Tuttavia dovevo andare a travagliare per il mio barone. Io venivo pagato; Lia veniva mantenuta in vita. Di “licenza” ce ne eravamo concessa fin troppa. Si riabbottonò rassegnata la sua camicetta bianca; la gonna era rimasta per lo più al suo posto. Si trattava solo di risvolgerla verso il basso. Lia mi disse:
“Vieni a punirmi più spesso signore! Tu non come vecchio barone! Tu giovane! Tu duri! Io volere te cavallare di sopra...”
“...cavallare ?...”
“Sì padrone Toraldo, io voglio te cavallare, io sopra prossima volta...tuo palo un...un amore tuo palo!...”
“...ah ho capito...volevi dire cavalcare!...”
“Sì signore del palo! Cavallare, io cavalca, io cavalca te prossima scopa...”
E mi baciò di nuovo.
“Sei del barone Lia! Anch’io! ...Ma tu più di me!”
“Sì, io devo dormire alcune notti con vecchio, un po’ porco...lui,...però insomma lui ormai moscio...”
Dovetti correggere Lia con un piccolo ceffone. Non se ne poteva uscire con quegli insulti, altrimenti il barone l’avrebbe fatta battere legittimamente. Il mio ceffone non era niente in confronto alle nerbate del capo del personale. Forse era il caso che le ricordassi quali erano le distanze da osservare, per quanto mi ripugnasse schiaffeggiarla.
“Perché tu fare così signore?...barone buono con me,sì...ma lui non mi fare godere...lui sempre dito nel culo mentre io rifare letto, e lui leccata di fica quando io dovere venire sopra lui...io insoddisfatta...o poco...lui vecchio barone fa me bagnare, ma non godere,...suo figlio, figlio cattivo,... lui vuole solo donne bianche!”
“Lia! Non devi parlare così del barone o di suo figlio ed erede con nessuno, nemmeno con me...”
Mi ero “calmato” e Lia mi sorrideva di nuovo speranzosa. Cercava il mio sorriso. Non capiva che l’avevo solo avvertita.
“Tu signore contento di Lia?...”
“Sì Lia! Ti verrò a trovare ancora! Promesso!”
La baciai di nuovo e lasciai la cucina. L’ora decima era vicina. Il tempo con quel piccolo paradisetto africano era volato. Andai nel mio ufficio. L’anziano avvocato Ludovico Sanfedele intendente capo delle finanze della baronia mi aspettava.
“Ben arrivato!...dormito bene?! Qui c’è del lavoro da sbrigare. Partite doppie...muoviamoci!”
“Sì dottore, benissimo...”
Presi posto al mio tavolo ed iniziai a guardare i documenti. L’avvocato stamani era ciarliero. Di solito invece era taciturno.
“Mi informano che ogni tanto accampando motivi inesistenti o futili ti fai qualche schiava non tua Toraldo...le schiave ti ricordo sono del barone! Non tue. A me non dai fastidio...Sei giovane!...Naturale!...il barone però si è lamentato con me; l’ha presa bene per fortuna! Stai in guardia Toraldo!”
“Sì dottore, terrò presente!”
“Aggiustati quei pantaloni allora! Non hai l’aspetto di un ragioniere...hai già bevuto stamattina?”
“No, al mattino non bevo mai avvocato Sanfedele!”
“Bene! Senti io ora vado negli uffici dell’università...devi dirmi niente? Oggi non torno...”
“Ah sì...mi servirebbe un permesso per domattina...devo aiutare di persona l’anziano Don Grico...”
“Ah!..allora vai all’esecuzione?! “
“Ne farei a meno, ma Don Grico è un po’ malfermo, e non ha trovato nessuno...”
Il dottor Sanfedele e Don Grico si conoscevano. Mi avevano seguito personalmente da ragazzo durante gli studi. Il mio superiore disse:
“E sia!”
Fece per uscire, poi tornò, e mi ammonì:
“Toraldo! Anche le schiave si sono lamentate col barone di te! A quanto pare fai loro lasciare le incombenze per far loro persino sodomia...l’accusatio di sodomia, ancorché a una bella femmina è infamante,...a te e a lei poverina, no?!”
“...non crederete a tutto quello che si dice avvocato...poi chiedo venia se vi ricordo che la parola di un ragioniere del Barone vale più di quella di una sua qualunque schiava...”
“ Stamani ho voluto verificare di persona le parole di un paio di quelle schiave, e così ti ho seguito e visto con quella Lia...è una di quelle nuove vero?!“
“...”
“Ho impedito io che vi fermassero! Li ho allontanati io! Altrimenti oggi avrebbero battuto pure te incosciente! I servi di fiducia alle cucine, quelli non sono schiavi!... erano pronti a testimoniare contro di te...tranquillo ! Non me la sono guardata tutta!”
“Quando ho visto che vi baciavate non me la sono sentita! Ho allontanato la servitù...per tua fortuna mi hanno obbedito, ma erano i servi del padrone, non i miei! ”- La sua voce però cambiò tono verso il monitorio severo:
“...Ma ti avverto: se Lia o qualcun’altra entrano qui, allora vai via tu! Né don Grico né tuo padre potranno far nulla...qui niente donne e niente sesso! Qui si lavora e basta!”
Avevo appena fatto notare a Lia le distanze da mantenere con i dominanti (dei quali io ero in fondo alla lista) che venivano questa volta ricordate anche a me. Forse mi era andata bene finora. Lavorai tutto il giorno pensando al culo di Lia che non avevo avuto tempo di provare. Pensai, ed il pensiero mi diede nuova energia: la prossima volta sarò semplicemente più accorto nell’incontrarla. Alla fine del lavoro verso il tramonto riposi i fogli contabili ed i libroni pieni di infida muffa e umidità negli armadi, e me ne andai a casa. Mentre passavo dalla piazza vidi che stavano montando il patibolo per l’indomani mattina. Gli operai lavoravano di lena con chiodi e martello sorvegliati dagli armigeri fin quando c’era ancora un po’ di luce naturale. Poi avrebbero terminato la mattina presto dopo per non dover lavorare alla debole luce delle lanterne. Lavoravano con precisione nel montare le assi ed i pali per l’impiccagione dei due sodomiti. Un operaio si appese con le mani ad una corda per assicurarsi che la trave di legno stagionato reggesse effettivamente. Non volli restare. La curiosità è normale ed umana, ma ciò non toglie che il tutto fosse angosciante. Quella sera quasi non cenai, in realtà mangiai pochissimo. Non me la sentivo. Mi limitai a mangiare solo una frisellina col pomodoro e l’olio. Poi spensi le candele ed andai a dormire.
Nel frattempo, presso le camera da letto del nobile dei nostri luoghi, che preferiva dormire da solo per compiere alcuni suoi giochetti con le schiave(ricambiato dalla augusta moglie per quanto ne ebbi a sapere), il signor Barone nostro si preparava ad andare a letto. Chiamò con la campanella a mano di ottone e la “cameriera prescelta” quella sera si presentò all’uscio. Il signor Barone era ormai vecchio. I suoi capelli bianchi gli scendevano dalle spalle. Aveva già indossato il camicione da notte bianco che gli arrivava fino alle caviglie. Gli disse di presentarsi innanzi a lui, e di rimboccargli le coperte. La serva lo fece immediatamente ed egli ne approfittò per buttare le mani nelle parti basse della donna, che preavvertita, aveva l‘ordine di lasciarlo fare. Quella sera il barone scelse proprio Lia. Il nome le era stato messo dal barone stesso, mi disse quella donna, metà araba e metà africana. Poteva essere alta un metro e sessanta circa e la sua parte più bella era il seno, per quanto né io, né il barone disdegnassimo il suo culo tondo, sodo, e formoso dato che Lia dimostrava più di una ventina di anni. Lia mi raccontò poi che venne palpeggiata a lungo prima che il barone le ordinasse di stendersi sul letto a pancia sotto davanti a lui che si era seduto sul materasso. Lia obbedì; salì sul baldacchino più o meno vicino i piedi del barone e si stese a pancia sotto. Il barone le rimboccò la gonna onde scoprirla fino a godersi il panorama di cosce e natiche. Con la sinistra palpeggiava, Lia e con la destra preparava il cazzo tramite la pippa. Durante il palpeggiamento provò a metterle il dito nell’ano. Lia da parte sua era abituata a quel tipo di esplorazione. La cosa andava avanti noiosa. Dopo un po’ Lia disse:
“Signor barone stendere, io contenta se voi potere fare, ma se voi stendere io prende in mia bocca...”
“Prego prendete!... Lia è tutto vostro...”
Lia abbandonò la sua posizione per fare un pompino al suo padrone in camicia da notte. Si inginocchiò davanti alle sue gambe, e glielo prese in bocca per intostarglielo meglio. Lia, come ebbe a riferirmi, sapeva che il barone ejaculava precocemente, era rassegnata ad accogliere lo sperma del barone nella propria gola; solo che quella volta gli diventò subito duro al contatto con la lingua della giovane Lia, che da parte sua propose:
“Signor Barone, ora Lia cavalla di vostro... palo,...Lia volere godere anche lei...”
“Vai Lia! Cavalca, mettitelo dentro...togliti la gonna...e mettitelo dentro davanti a me...”
Lia si slacciò la gonna, e rimasta a cosce scoperte, presentò al padrone la sua fica boscosa col colore della cenere, e quelle magnifiche labbra vulvari color nocciola deliziando dapprima gli occhi al barone, poi dopo avergli afferrato l’arnese per una qualche pippa di supporto, glielo scappellò ben bene. Il barone era tesissimo; in cuor suo aveva paura che in pochi secondi tutto quel paradiso potesse dissolversi, e l’erezione terminare vista l’età. Fu fortunato. Il suo cazzo dritto tenne. Il cuore pompava ancora abbastanza bene. Lia, aperta con indice e medio la sua fica che mostrava al padrone il miglior rosa delle sue carni più interne, si fece cadere con tutto il suo peso sopra quel palo di carne maschia che entrò dentro di lei...sapendo di aver a che fare con un uomo vecchio gli disse:
“Ora Lia muovere padrone! Lia vuole godere...voi d’accordo padrone, sì...?”
“...ahnnnnnnnnnnn!...sì Lia muoviti! Dai !...ohhhhhhhh!”
“Ahnnn, ahnnnn, ahnnn, sì che cazzo duro ! Io godere signor Barone, io,ahnnnn, io godere...”
“Oh, oh, ahhh!....uhmmmfff, oh, oh,…che femmina!...Ehi!...oh ! Oh! Oh!...OOOHHH!”
Lia andò lentamente avanti e indietro impalata dal cazzo del vecchio barone ancora dritto. Ovviamente Lia cercava di godere veramente gustandosi quei suoi auto affondi, ma non fu possibile: otto colpi ed il Barone venne dentro di lei. La sborra cominciava ad uscirle dalla vulva sudaticcia, ma non godereccia. Non ce ne era stato il tempo. Cercò di muoversi più piano per far godere al suo padrone la breve congiunzione, ma il cazzo se ne uscì di suo. Ormai era piccolo. Il vecchio aveva goduto. Lia però ci teneva ad ingraziarselo il signor Barone, più per ingenuità giovanile che per ambizione. Il Barone si accasciò sul cuscino esausto. Lia lo girò di fianco di fronte a lei, e mettendogli i seni in faccia gli offrì il viatico del buon sonno. Il Barone però era ancora sveglio e leccava lentamente sia i seni, che i capezzoli di Lia. Questa prese a tenergli la testa sul proprio seno con la mano destra dietro la nuca del barone; con la sinistra gli prese in mano l’uccello ancora bagnato di sborra e carezzandogli delicatamente la cappella iniziò a masturbarlo per farlo venire duro di nuovo. Ci vollero dei minuti di quelle tenerezze amorevoli, e al barone era di nuovo duro. Lia sistemò il suo ano davanti alla cappella dura del barone che d’istinto capì che poteva entrarle nel culo. Cercò di farlo, ma la sua cappella rimase solo strozzata dentro l’ano. Una penetrazione goffa. Lia lo incoraggiò ad avanzare. Il barone però non rispondeva agli ondeggiamenti del culo della donna. Lia si accasciò anche lei cercando di tenergli al caldo quel cannolo di carne dentro i suoi visceri. Non riuscì però a rilassarsi. Entrò in camera all’improvviso Donna Ester che non era mai stata una schiava, ma era stata educata fin da ragazza a lavorare come governante dei figli del barone. Ora era una donna di quarant’anni e più, che in fatto di sesso da tempo ormai non era più la desiderata dall’anziano nobiluomo. La cosa non la disturbava più di tanto...Lia, voltata, non la vide avvicinarsi; Donna Ester si accorse che il Barone respirava normalmente a occhi chiusi. Vide quel quadretto osceno, con il vecchio che dormiva beato con il suo cazzo semiaffondato tra le magnifiche calde rotondità dell’ingenua Lia; con un sorriso di sufficienza fece cenno silenziosamente a Lia di finirla con quel cazzo non più tanto grosso nel culo, le gesticolò di farlo uscire, e soprattutto di scasare da quel letto. Tra i suoi diritti (pochi) di schiava non c’era certo quello di dormire insieme a sua altezza, salvo ovviamente sua diversa indicazione. Lia mosse il suo culo e l’ano restituì il baronal pisello. Donna Ester prese il cazzo del barone delicatamente fra le sue dita della mano destra assicurandosi che non perdesse sangue; quindi dopo aver inumidito con la propria saliva un fazzoletto bianco di cotone, gli ripulì il glande con esso; il barone respirava e dormiva della grossa; da donna pratica di quelle camere gli risistemò prima il camicione da notte, poi le coperte, e finito di tirare le tende uscirono. Lia, che aveva assistito a quelle piccole amorevoli incombenze (che avrebbero dovuto restare sue), si riprese le vesti ed uscì. Mentre finiva di rivestirsi chiudendosi la gonna alla meglio in corridoio donna Ester le si parò di fronte dicendole:
“Ma cosa ti saltò in mente Lia...?”
“Cosa ho fatto padrona?...”
Donna Ester si fece seria:
“Ma ti sei scimunita?...potevi ucciderlo...”
“Io non uccidere padrona Ester...io voleva godere un po’ anche io...”
“Godere?...Lia o tu non ti rendi conto...o...che ne so? ...Insomma, che volevi fare? Dovevi solo dargli un po’ di sollievo con le mani...ormai è tempo solo per le mani Lia! Mica può scopare come faceva una volta...”
“Io avere anche preso in bocca suo membro padrona Ester! Suo seme ancora buono...”
“Per forza scemotta! ...Sono io che gli faccio mangiare verdure e tanta frutta! Se gli lasciassi, o facessi bere tutto il vino che vuole lui, ti saprebbe ancora buono?!...”
Donna Ester fu paziente con la nuova arrivata.
“Guarda che tu non devi godere! Alla sua età devi solo farti toccare, tutt’al più il dito al culo!...poi te la fai leccare un po’, se e lui che te la chiede s’intende!...ma se lui se ne dimentica, allora salta dritta alla pippa! “
Le fece il segno esplicativo con il proprio braccio.
”...tanto sborra subito, e a nanna! Ma cosa credevi ?...che alla sua età avesse ancora la forza per incularti?...guarda che se muore lui...qui è tutto un casino!...e poi se il figlio da la colpa a te?...Insomma se vuoi scopare, fatti prendere dal figlio! È giovane e vigoroso,...e ha un bel paio di coglioni duri! Glieli ho provati! So quello che dico!”
“Figlio amare donne bianche come voi Donna Ester. Io sa di suo figlio!...A lui non piace donna nera...”
“Ma no, vedrai che ti prende... deve abituarsi!...sei nuova qui!...e poi io stessa ho dato qualche lezione al figlio del barone. Lui sa come fare...adesso, ma il vecchio deve dormire...capito Lia?!...”
“Sì padrona Ester. Lia capito ha.”
“Vieni, andiamo alle cucine, che ci facciamo una tisana, che ti racconto come ti devi muovere col figlio...”
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